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Gabriele Landi: Secondo te il tema del sacro ha ancora una sua importanza nell’arte di oggi e nel mondo in cui viviamo?
Simone Pellegrini: Il sacro è un punto materiale remoto per la messa a fuoco del tempo che rimane.
Improvvisamente spogliato di ogni utilità nonché esorbitato da qualsivoglia circuitazione economica oltre che dalla logica corrente di attuazione, si dice sacro quel che tradendo, smette di essere quanto è sempre stato.
Tradisce, è vero, sul fronte comune, batte in ritirata nel paradosso dove si piega e ripiega a dismisura pretendendo di affidarsi definitivamente all’altrove.
Così si allontana dalla sgranatura di postille, dal didascalico infestante, dall’allegoresi e da ogni degradante manifestazione per esporsi intero, senza orpelli, solido e irrevocabile.
Quel che non è, questa cosa dimentica di sé che non nicchia nel tempio degli iconofili, è una nudità violentata e impenetrabile in combutta con l’ignoto per la disfatta del sapere. E getta ombra, questo resto, sulla analogia dilagante che vorrebbe mettere a repentaglio ogni contraddittoria differenza.
Non è la metafora di qualcosa il sacro e
c’è del sacro solo sulla strada di chi ha smesso di scegliere.
Come rinunciare a questo negativo scomodo, inappropriato, diseguale che invoca di essere gettato nello stagno delle ben ponderate equivalenze? Perché escludere dal nostro affaccio il baluginío dei riflessi che produce la sua sola presentazione sull’incresparsi di ogni rappresentazione?
Dove incontreremo il sacro?
Nello spazio irriducibile e eminentemente umano che separa il volere dal potere, quello in cui si crea nell’ingiustizia – con buona pace dei moralizzatori e dei contabili – e nella disperazione, a sfregio, nell’oltre dell’abbastanza, a scapito di ogni sufficienza, equivocando ancora fino ad essere disarcionati dal simbolico.
Ed è un incontro senza relazione a cui si perviene da spossessati, per poter finalmente dare quanto non si ha.
Così è il “non” di questo esperire in cui l’ontico slabbra il plurale fenomenico.
Perché non è una forma caritatevole a mostrarsi ma è qualcosa come una incausata immanenza senza parabola alcuna, una concreta superiore implicazione, venuta-tornata redenta.

Corriva montante – 90×168 – 2021
© Galerie Gugging

Corriva montante – 90×168 – 2021
(particolare)
© Galerie Gugging

Inaudito devoto – 105×201 – 2020
© Simone Pellegrini
