Punti di vista sul Sacro il punto di vista di Gianni Asdrubali

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Gabriele Landi: Secondo te il tema del sacro ha ancora una sua importanza nell’arte di oggi e nel mondo in cui viviamo?

Gianni Asdrubali:
Se si usa la parola “Arte” si dà per scontato che esiste una sacralità, perché non esiste un’arte che non sia Sacra. Anche la dissacrazione dell’arte dadaista è sacra. Quello è un gesto Sacro, non è comunicazione, al contrario, quel gesto/pensiero sposta la comunicazione umana e quotidiana verso altro, verso una spiritualità che ha a che fare con una emanazione d’energia superiore, che ha a che fare con la magia, con l’irrazionale, con l’anarchia, con qualcosa che è ma non si spiega. Il paradosso è che tutto questo prende corpo attraverso un processo creativo, analitico, scientifico, razionale. È il risultato che nella sua “emanazione” inverte il processo razionale e intellettivo in pura lucida follia, irrazionalità di un mistero che non può essere svelato ma reso poetico, “pieno di musica”, pura liberazione anarchica insomma.
L’opera d’arte si realizza attraverso una tecnica spietata ed il risultato, se emana bellezza,  annulla la tecnica e la razionalità che la sottende.  C’è un’idea iniziale, una visione, nel senso più ampio del termine, che per essere detta ha bisogno di una tecnica, di una razionalità che la strutturi in immagine,  e se questa immagine è giusta annulla la tecnica e resta solo l’arte. La razionalità nell’arte è  solo uno strumento per raggiungere l’irrazionale.
Ora se mi calo invece nella contemporaneità  trovo  che il sacro non esiste, perché l’ arte ha perso se stessa, voglio dire se stessa come contesto in se. A parte rarissime eccezioni: mosche bianche, meteore impazzite che vagano solitarie e invisibili, impossibilitate a compattarsi con altre sistemiche individualità.
Si dovrebbe  sostituire la parola “Arte”, con qualcos’altro, tipo “comunicazione relazionale” oppure “socioantropologia interattiva-relazionale” o  definizioni simili.
Non a caso tutte le ultime biennali e tante mostre collettive sono a tema. C’è un tema, anche i curatori fanno mostre a tema, come a scuola,e ciò significa che l’opera d’arte ha perso l’aurea e per sostenersi ha bisogno di sottomettersi ad altri contesti, deve aggrapparsi ad un significato a priori, deve divulgare un contenuto. Quindi l’artista risponde, in automatico, ad una richiesta che viene prima della “visione”.. una specie di richiesta dell’intrattenimento culturale…

L Arte, soprattutto dagli anni ottanta in poi, ha spostato il suo paradigma, da arte come ” ricerca di verità” ad un’arte della comunicazione ( scientifica,ambientale,sociale etc..). Arte della comunicazione, non per dire altro, ma per restare nella comunicazione: come il telegiornale, come un reporter, come un postino dei nuovi sistemi di comunicazione. Insomma l’artista oggi mi sembra completamente appiattito dentro  quel grande rito, come quello recentemente analizzato da Shoshana Zuboff nel suo libro “Il capitalismo della sorveglianza”, dove dietro a tutto ciò c’è la visione transumanista di Ray Kurzweil, e l’adesione, alle sue tesi e scritti dei principali protagonisti delle nuove tecnologie (Facebook, Google e Amazon).

Detto questo , per ritornare alla domanda di partenza, certo che la sacralità ha importanza e soprattutto oggi, proprio perché manca, ma oggi questo è possibile solo se si tenta uno sbordamento, un incidente di senso che esca da questo stallo, anche a costo di bruciare tutto se stessi. Come? Non lo so, ognuno ha la sua chiave e dipende da quanto uno si diverte, da quanto piacere sente. L’obiettivo è sempre la felicità.
L’artista, dal tempo dei tempi, ha sempre preso informazioni dal reale, ma per dire altro, per abitare quella zona impervia, senza tempo e senza luogo, dove è udibile solo l’eco poetico del non detto. Oggi invece si parte dalle informazioni del mondo e lì si ritorna e quindi non si fa mondo. E se l’arte non fa mondo non è sacra, rimane profana, quotidiana. L’opera né vola via, né fa volar via. È ancorata alla propria contemporaneità. Oggi l’arte è contemporanea, cioè dice  del contemporaneo, nel migliore dei casi è un fatto intellettivo, ma questo non basta.

Una sacralità è possibile se non la si cerca, cioè se accade un evento, non pensato a priori, dove si attua la possibilità di un tentativo sull’ impossibile, verso un nuovo semplice gesto (semplice, cioè complesso, ma per niente complicato) di ricerca di verità, fuori dal “grande rito” in cui ci troviamo.  Una scommessa  involontaria sull’ impossibile, come è  la via dell’arte e anche se vana è la ricerca è il tentativo che conta.