Sul disegno Elena Grossi

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Parola d’Artista: Che importanza e che ruolo ha nel tuo lavoro il disegno? 

Elena Grossi: Ciao, inizio la risposta alla tua domanda dicendo che per me “disegno”  significa innanzitutto “osservazione”. Per imparare a disegnare bisogna prima imparare ad  osservare. L’osservazione, per quanto mi riguarda, è da intendersi come una vera e propria attività e pertanto richiede una buona dose di impegno e allenamento. Osservare è imprimere nella mente attraverso gli occhi tutto ciò che poi possiamo scegliere di fissare nuovamente con un segno su una  qualunque superficie. Il disegno è stato il mio primo metodo di approccio all’arte, dunque ha avuto  per me un’enorme importanza. Sono cresciuta con la matita in mano che consideravo come una bacchetta magica in grado di rendere visibile ciò che ancora non lo era. Durante l’infanzia ho  disegnato di tutto, liberando dalla mente il mio immaginario in modo quasi terapeutico, ma il più delle  volte il punto di vista delle scene era aereo, come se stessi osservando ogni cosa dall’alto. Frequentando il liceo artistico e poi l’Accademia di Belle Arti ho praticato per anni il disegno dal vero che, sfociato poi in pittura, ha aperto in me una grande riflessione sul rapporto tra i contorni delle  cose e il concetto di distanza. La pittura infatti, “figlia” del disegno, ed in particolare la tecnica dello  sfumato leonardesco, è diventata un punto di riferimento ricorrente di alcuni miei lavori come L’orizzonte degli eventi che, nonostante sia stato eseguito attraverso la fotografia, fa esplicito riferimento proprio a questo principio pittorico di dissolvenza cromatica. Oggi la mia idea di disegno si è allontanata parecchio dalla sua versione più classica e tipicamente accademica, nel senso che è venuta meno sia quella volontà di ricercare una presunta perfezione canonica, sia quello “sporcarsi  le mani” che invece prima credevo indispensabile. Lavorando con mezzi spesso differenti tra loro,  sto diventando sempre più curiosa di sperimentare il modo in cui il disegno può interagire anche con  le nuove tecnologie: di recente ho allenato un software su modelli creati sulla base di disegni e  schizzi realizzati a mano in precedenza. Si tratta di un’impresa piuttosto bizzarra, un automatismo  psichico (digitale però) che nel rielaborare mantiene le caratteristiche dei disegni originali. Il disegno  manuale diventa quindi per me la matrice delle sue stesse possibilità di evoluzione e interpretazione.

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On drawing Elena Grossi

#paroladartista #disegno #drawing #elenagrossi

Parola d’Artista: What importance and role does drawing play in your work? 

Elena Grossi: Hello, I start my answer to your question by saying that for me ‘drawing’ means first of all ‘observation’. In order to learn to draw, one must first learn to observe. Observation, as far as I am concerned, is to be understood as a real activity and therefore requires a good deal of commitment and training. To observe is to imprint in the mind through the eyes everything that we can then choose to fix again with a mark on any surface. Drawing was my first method of approaching art, so it was of great importance to me. I grew up with a pencil in my hand, which I regarded as a magic wand that could make visible what was not yet visible. During my childhood I drew everything, releasing my imagination from my mind in an almost therapeutic way, but most of the time the point of view of the scenes was aerial, as if I were observing everything from above. Attending art high school and then the Academy of Fine Arts, I practised life drawing for years, which later turned into painting, opening up in me a great deal of reflection on the relationship between the contours of things and the concept of distance. In fact, painting, the ‘daughter’ of drawing, and in particular Leonardo’s sfumato technique, has become a recurring reference point for some of my works such as The event horizon, although executed through photography, makes explicit reference to this very pictorial principle of colour fading. Today, my idea of drawing has moved a lot away from its more classical and typically academic version, in the sense that both that desire to search for a presumed canonical perfection and that ‘getting one’s hands dirty’ that I used to believe indispensable has disappeared. Working with often different means, I am becoming increasingly curious to experiment with the way drawing can also interact with new technologies: I recently trained a software on models created on the basis of drawings and sketches made by hand previously. It is a rather bizarre undertaking, a psychic automatism (digital though) that in reworking maintains the characteristics of the original drawings. The hand-drawing thus becomes for me the matrix of its own possibilities of evolution and interpretation.